martedì 22 gennaio 2008

ECT - Schindler

Un uomo alto e elegante si appoggiò alla scrivania del ragioniere e disse con voce leggermente alterata dall'alcol: "Domani si comincia. Per primo tocca alla Via Jozefa e la Via Izaaka." Il ragioniere ebreo guardò incredulo l'uomo biondo e elegante con il grande distintivo del partito nazista sulla giacca. Sapeva veramente qualcosa e se sapeva, perché rischiava per avvertirlo? Oppure stava minacciando, per fargli capire dove era il suo posto in quel mondo dominato da una mentalità malata. In ogni caso non credette a questo uomo d'affari che stava per comprare una fabbrica espropriata a degli ebrei e che era venuto a Krakovia solo per fare soldi. Piuttosto ci vedeva la previsione generica di un futuro oscuro per gli ebrei europei. Il giorno dopo gli
appartamenti degli ebrei nella via Josefa e la via Izaaka furono saccheggiati e la sinagoga incendiata dopo che le SS avevano costretto prima gli ebrei presenti a sputare sulla t'ora e poi li avevano fucilati. Questo gesto fu tipico di Oskar Schindler, che era arrivato a Cracovia sulla scia degli occupanti nazisti per arricchirsi e finì invece per salvare più di 1200 ebrei, destinati a morire nell'inferno di Auschwitz. Ebbe contatti con alti ufficiali e funzionari nazisti con i quali beveva per corromperli, gli procurava sigarette, cognac e altri articoli di lusso difficilmente reperibili in tempi di guerra. Ma sin dall'inizio sentiva un forte orrore davanti al terrore nazista, e, pur continuando a fare affari - più sul mercato nero che con lo stato tedesco - cominciò a boicottare il sistema nazista e a salvare più ebrei che poteva, occupandoli nelle sue fabbriche di armi destinate al terzo Reich. Perdendo tutto quello che aveva guadagnato li trasferì insieme alla sua fabbrica davanti all'avanzata della armata rossa più a ovest nella sua città natale di Brunnlitz (oggi nella Repubblica Ceca). Riuscì addirittura a tirare fuori dopo quattro settimane le 300 donne che per un errore burocratico erano finite a Auschwitz: cosa
giudicata impossibile e mai successa né prima né dopo quella volta con l’espediente di aver bisogno della mani di donne e bambini per l’assemblaggio di bombe.

* Tratto da
Università degli Studi di Salerno
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E STATISTICHE

Adalgiso Amendola – Roberta Troisi
INTRODUZIONE ALL’ECONOMIA POLITICA DELL’ORGANIZZAZIONE:
NOZIONI ED APPLICAZIONI
WORKING PAPER 3.153
Novembre 2004

ECT - La coscienza di Zeno*

Storia di un’associazione commerciale. (la coscienza di Zeno)
Fu Guido che mi volle con lui nella sua nuova casa commerciale. Io morivo dalla voglia
di farne parte, ma son sicuro di non avergli mai lasciato indovinare tale mio desiderio. Si
capisce che, nella mia inerzia, la proposta di quell'attività in compagnia di un amico, mi
fosse simpatica. Ma c'era dell'altro ancora. Io non avevo ancora abbandonata la speranza
di poter divenire un buon negoziante e mi pareva più facile di progredire insegnando a
Guido, che facendomi insegnare dall'Olivi. Tanti a questo mondo apprendono soltanto
ascoltando se stessi o almeno non sanno apprendere ascoltando gli altri.Per desiderare
quell'associazione avevo anche altre ragioni. Io volevo essere utile a Guido! Prima di tutto
gli volevo bene e benché egli volesse sembrare forte e sicuro, a me pareva un inerme
abbisognante di una protezione che io volentieri volevo accordargli. Poi anche nella mia
coscienza e non solo agli occhi di Augusta, mi pareva che piú m'attaccavo a Guido e più
chiara risultasse la mia assoluta indifferenza per Ada. Insomma io non aspettavo che una
parola di Guido per mettermi a sua disposizione, e questa parola non venne prima, solo
perché egli non mi credeva tanto inclinato al commercio visto che non avevo voluto
saperne di quello che mi veniva offerto in casa mia.Un giorno mi disse: Io ho fatta tutta la
Scuola Superiore di Commercio, ma pur mi dà un po' di pensiero di dover regolare
sanamente tutti quei particolari che garantiscono il sano funzionamento di una casa
commerciale. Sta bene che il commerciante non ha bisogno di saper di nulla, perché se ha
bisogno di una bilancia chiama il bilanciaio, se ha bisogno di legge invoca l'avvocato e
per la propria contabilità si rivolge ad un contabile. Ma è ben duro dover consegnare da
bel principio la propria contabilità ad un estraneo! Fu la sua prima allusione chiara al suo
proposito di tenermi con lui. Veramente io non avevo fatta altra pratica di contabilità che
in quei pochi mesi in cui avevo tenuto il libro mastro per l'Olivi, ma ero certo d'essere il
solo contabile che non fosse stato un estraneo per Guido.Si parlò chiaramente per la prima
volta dell'eventualità di una nostra associazione quand'egli andò a scegliere i mobili per il
suo ufficio. Ordinò senz'altro due scrivanie per la stanza della direzione. Gli domandai
arrossendo:- Perché due? Rispose:- L'altra è per te.Sentii per lui una tale riconoscenza che
quasi l'avrei abbracciato.Quando fummo usciti dalla bottega, Guido, un po' imbarazzato,
mi spiegò che ancora non era al caso di offrirmi una posizione in casa sua. Lasciava a mia
disposizione quel posto nella sua stanza, solo per indurmi a venir a tenergli compagnia
ogni qualvolta mi fosse piaciuto. Non voleva obbligarmi a nulla ed anche lui restava
libero. Se il suo commercio fosse andato bene m'avrebbe concesso un posto nella
direzione della sua casa.Parlando del suo commercio, la bella faccia bruna di Guido si
faceva molto seria. Pareva ch'egli avesse già pensate tutte le operazioni a cui voleva
dedicarsi. Guardava lontano, al disopra della mia testa, ed io mi fidai tanto della serietà
delle sue meditazioni, che mi volsi anch'io a guardare quello ch'egli vedeva, cioè quelle
operazioni che dovevano portargli la fortuna. Egli non voleva camminare né la via
percorsa con tanto successo da nostro suocero né quella della modestia e della sicurezza
battuta dall'Olivi. Tutti costoro, per lui, erano dei commercianti all'antica. Bisognava
seguire tutt'altra via, ed egli volentieri si associava a me perché mi riteneva non ancora
rovinato dai vecchi.Tutto ciò mi parve vero. Mi veniva regalato il mio primo successo
commerciale ed arrossii dal piacere una seconda volta. Fu così e per la gratitudine della
stima ch'egli m'aveva dimostrato, ch'io lavorai con lui e per lui, ora più ora meno
intensamente, per ben due anni, senz'altro compenso che la gloria di quel posto nella
stanza direttoriale. Fino ad allora fu quello certamente il più lungo periodo ch'io avessi
dedicato ad una stessa occupazione. Non posso vantarmene solo perché tale mia attività
non diede alcun frutto né a me né a Guido ed in commercio - tutti lo sanno - non si può
giudicare che dal risultato.Io conservai la fiducia d'esser avviato ad un grande commercio
per circa tre mesi, il tempo occorrente a fondare quella ditta. Seppi che a me sarebbe
toccato non solo di regolare dei particolari come la corrispondenza e la contabilità, ma
anche di sorvegliare gli affari.

* Tratto da
Università degli Studi di Salerno
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E STATISTICHE

Adalgiso Amendola – Roberta Troisi
INTRODUZIONE ALL’ECONOMIA POLITICA DELL’ORGANIZZAZIONE:
NOZIONI ED APPLICAZIONI
WORKING PAPER 3.153
Novembre 2004

ECT - La giara *

Comportamenti opportunistici
…Quella giara nuova, pagata quattr’onze, ballanti e sonanti, in attesa del posto da trovarle
in cantina, fu allocata provvisoriamente nel palmento...Ora, alla fine della terza giornata
tre dei contadini entrando nel palmento per deporvi le scale e le canne , restarono alla
vista della bella giara nuova, spaccata in due come se qualcuno, con un taglio netto
prendendo tutta l’ampiezza della pancia, ne avesse staccato tutto il lembo
davanti…Uscirono davanti al palmento e facendosi portavoci delle mani
chiamarono:”Don Lollò, don lollò”..Quando don Lollò venne su e vide lo scempio parve
volesse impazzire…”La giara nuova! Quattr’onze di giara! Non ingignata ancora! “
Voleva sapere chi gliel’avesse rotta , possibile che si fosse rotta da sé? Non gli si vedeva
segno di violenza! Che fosse arrivata rotta dalla fabbrica? Ma Che! Suonava come una
campana!..Appena i contadini videro che la prima furia gli era caduta, cominciarono ad
esortarlo a calmarsi. La giara si poteva aggiustare…C’era giusto Zi’ Dima Licasi che
aveva scoperto un mastice miracoloso , di cui serbava gelosamente il segreto, un mastice
che neanche il martello ci poteva, quando aveva fatto presa…Il giorno appresso si
presentò, all’alba, puntuale, Zì Dima Licasi con la cesta degli attrezzi dietro le spalle…
..”Fatemi vedere codesto mastice” gli disse don Lollò…”all’opera si vede”, rispose,
negando col capo Zì Dima. …”Col mastice solo però non mi fido. Ci vogliono anche i
punti” mise per patto don Lollò. “Me ne vado”rispose Zì Dima… Don Lollò lo acchiappò
per un braccio. “Dove? Messere e porco, così trattate ? ma guarda un po’ che arie da
Carlo Magno. Scannato miserabile e pezzo d’asino! Ci devo metter olio, io, là dentro, e
l’olio trasuda. Un miglio di spaccatura, col mastice solo? Mastice e punti. Comando io..”
Zì Dima si mise all’opera gonfio d’ira e di dispetto. E l’ira ed il dispetto gli crebbero ad
ogni foro che praticava col trapano, nella giara e nel lembo staccato per farvi passare il fil
di ferro della cucitura…Si mise a far passare ogni pezzetto di fil di ferro attraverso
accanto, l’uno di qua l’altro al di là della saldatura, e con le tenaglie ne attorceva i due
capi. Ci volle un’ora per passarli tutti “Ora aiutami ad uscire “- disse alla fine. Ma quanto
larga di pancia, tanto quella giara era stretta di collo. Zi' Dima, nella rabbia, non ci aveva
fatto caso. Ora, prova e riprova, non trovava più il modo di uscirne. E il contadino invece
di dargli ajuto, eccolo là, si torceva dalle risa. Imprigionato, imprigionato lì, nella giara da
lui stesso sanata e che ora - non c'era via di mezzo - per farlo uscire, doveva essere rotta
daccapo e per sempre. Sopravvenne Don Lollò. Zi' Dima, dento la giara, era come un
gatto inferocito.Fatemi uscire! - urlava -. Corpo di Dio, voglio uscire! Subito! Datemi
ajuto!Don Lollò rimase dapprima come stordito. Non sapeva crederci.- Ma come? là
dentro? s'è cucito là dentro?S'accostò alla giara e gridò al vecchio:- Ajuto? E che ajuto
posso darvi io? Vecchiaccio stolido, ma come? non dovevate prender prima le misure?
Su, provate: fuori un braccio... così! e la testa... su... no, piano! Che! giù... aspettate! così
no! giù, giù... Ma come avete fatto? E la giara, adesso? Calma! Calma! Calma! - Caso
nuovo, caro mio, che deve risolvere l'avvocato! Io non mi fido. La mula! La mula! Vado e
torno, abbiate pazienza! Nell'interesse vostro... Intanto, piano! calma! Io mi guardo i miei.
E prima di tutto, per salvare il mio diritto, faccio il mio dovere. Ecco: vi pago il lavoro, vi
pago la giornata. Cinque lire. Vi bastano?- Non voglio nulla! - gridò Zi' Dima. - Voglio
uscire.Le cavò dal taschino del panciotto e le buttò nella giara. Poi domandò, premuroso:-
Avete fatto colazione? Pane e companatico, subito! Non ne volete? Buttatelo ai cani! A
me basta che ve l'abbia dato… Per fortuna, non gli toccò di fare anticamera nello studio
dell'avvocato; ma gli toccò d'attendere un bel po', prima che questo finisse di ridere,
quando gli ebbe esposto il caso. Delle risa si stizzì.- Che c'è da ridere, scusi? A
vossignoria non brucia! La giara è mia!Ma quello seguitava a ridere e voleva che gli
rinarrasse il caso com'era stato, per farci su altre risate. "Dentro, eh? S'era cucito dentro?
E lui, don Lollò che pretendeva? Te... tene... tenerlo là dentro... ah ah ah... ohi ohi ohi...
tenerlo là dentro per non perderci la giara?"- Ma sapete come si chiama questo? - gli disse
infine l'avvocato. - Si chiama sequestro di persona!- Sequestro? E chi l'ha sequestrato? -
esclamò lo Zirafa. - Si è sequestrato lui da sé! Che colpa ne ho io?L'avvocato allora gli
spiegò che erano due casi. Da un canto, lui, Don Lollò, doveva subito liberare il
prigioniero per non rispondere di sequestro di persona; dall'altro il conciabrocche doveva
rispondere del danno che veniva a cagionare con la sua imperizia o con la sua
storditaggine.- Ah! - rifiatò lo Zirafa. Pagandomi la giara!- Piano! - osservò l'avvocato. -
Non come se fosse nuova, badiamo!- E perché?- Ma perché era rotta, oh bella!- Rotta?
Nossignore. Ora è sana. Meglio che sana, lo dice lui stesso! E se ora torno a romperla, non
potrò più farla risanare. Giara perduta, signor avvocato!L'avvocato gli assicurò che se ne
sarebbe tenuto conto, facendogliela pagare per quanto valeva nello stato in cui era adesso
.- Anzi - gli consigliò - fatela stimare avanti da lui stesso.Di ritorno, verso sera, trovò tutti
i contadini in festa attorno alla giara abitata.. Zi' Dima s'era calmato, non solo, ma aveva
preso gusto anche lui alla sua bizzarra avventura e ne rideva con la gajezza mala dei tristi.
Lo Zirafa scostò tutti e si sporse a guardare dentro la giara. - Ah! Ci stai bene?- Benone.
Al fresco - rispose quello. - Meglio che a casa mia. - Piacere. Intanto ti avverto che questa
giara mi costò quattr'onze nuova. Quanto credi che possa costare adesso?- Come me qua
dentro? - domandò Zi' Dima. I villani risero. - Silenzio! - gridò lo Zirafa. - Delle due
l'una: o il tuo mastice serve a qualche cosa, o non serve a nulla: se non serve a nulla tu sei un imbroglione; se serve a qualche cosa, la giara, così com'è, deve avere il suo prezzo.
Che prezzo? Stimala tu. Zi' Dima rimase un pezzo a riflettere, poi disse:- Rispondo. Se lei
me l'avesse fatta conciare col mastice solo, com'io volevo, io, prima di tutto, non mi
troverei qua dentro, e la giara avrebbe su per giù lo stesso prezzo di prima. Così conciata
con questi puntacci, che ho dovuto darle per forza di qua dentro, che prezzo potrà avere?
Un terzo di quanto valeva, sì e no. - Un terzo? - domandò lo Zirafa. - Un'onza e trentatré?-
Meno sì, più no.- Ebbene, - disse Don Lollò. - Passi la tua parola, e dammi un'onza e
trentatré.- Che? - fece Zi' Dima, come se non avesse inteso.- Rompo la giara per farti
uscire, - rispose Don Lollò - e tu, dice l'avvocato, me la paghi per quanto l'hai stimata:
un'onza e trentatré.- Io pagare? - sghignazzò Zi' Dima. - Vossignoria scherza! Qua dentro
ci faccio i vermi. E, tratta di tasca con qualche stento la pipetta intartarita, l'accese e si
mise a fumare, cacciando il fumo per il collo della giara.Don Lollò ci restò brutto.
Quest'altro caso, che Zi' Dima ora non volesse più uscire dalla giara, nè lui nè l'avvocato
l'avevano previsto. E come si risolveva adesso? Fu lì lì per ordinare di nuovo: "La mula",
ma pensò che era già sera.- Ah, sì - disse. - Tu vuoi domiciliare nella mia giara?
Testimonii tutti qua! Non vuole uscirne lui, per non pagarla; io sono pronto a romperla!
Intanto, poiché vuole stare lì, domani io lo cito per alloggio abusivo e perché mi
impedisce l'uso della giara. Zi' Dima cacciò prima fuori un'altra boccata di fumo, poi
rispose placido:- Nossignore. Non voglio impedirle niente, io. Sto forse qua per piacere?
Mi faccia uscire, e me ne vado volentieri. Pagare... neanche per ischerzo, vossignoria!Don
Lollò, in un impeto di rabbia, alzò un piede per avventare un calcio alla giara; ma si
trattenne; la abbrancò invece con ambo le mani e la scrollò tutta, fremendo.- Vede che
mastice? - gli disse Zi' Dima. Pezzo da galera! - ruggì allora lo Zirafa. - Chi l'ha fatto il
male, io o tu? E devo pagarlo io? Muori di fame là dentro! Vediamo chi la vince! E se ne
andò, non pensando alle cinque lire che gli aveva buttate la mattina dentro la giara. Con
esse, per cominciare, Zi' Dima pensò di far festa quella sera coi contadini che, avendo
fatto tardi per quello strano accidente, rimanevano a passare la notte in campagna,
all'aperto, su l'aja. Uno andò a far le spese in una taverna lì presso. A farlo apposta, c'era
una luna che pareva fosse raggiornato. A una cert'ora don Lollò, andato a dormire, fu
svegliato da un baccano d'inferno. S'affacciò a un balcone della cascina, e vide su l'aja,
sotto la luna, tanti diavoli; i contadini ubriachi che, presisi per mano, ballavano attorno
alla giara. Zi' Dima, là dentro, cantava a squarciagola. Questa volta non poté più reggere,
Don Lollò: si precipitò come un toro infuriato e, prima che quelli avessero tempo di
pararlo, con uno spintone mandò a rotolare la giara giù per la costa. Rotolando,
accompagnata dalle risa degli ubriachi, la giara andò a spaccarsi contro un olivo. E la
vinse Zi' Dima.

* Tratto da
Università degli Studi di Salerno
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E STATISTICHE

Adalgiso Amendola – Roberta Troisi
INTRODUZIONE ALL’ECONOMIA POLITICA DELL’ORGANIZZAZIONE:
NOZIONI ED APPLICAZIONI
WORKING PAPER 3.153
Novembre 2004

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L’economia dell’organizzazione il modello dei costi di transazione , in
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venerdì 18 gennaio 2008

Voci aggiunte

Brain

Voci aggiornate

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Serendipity
Mitzeberg