martedì 22 gennaio 2008

ECT - La giara *

Comportamenti opportunistici
…Quella giara nuova, pagata quattr’onze, ballanti e sonanti, in attesa del posto da trovarle
in cantina, fu allocata provvisoriamente nel palmento...Ora, alla fine della terza giornata
tre dei contadini entrando nel palmento per deporvi le scale e le canne , restarono alla
vista della bella giara nuova, spaccata in due come se qualcuno, con un taglio netto
prendendo tutta l’ampiezza della pancia, ne avesse staccato tutto il lembo
davanti…Uscirono davanti al palmento e facendosi portavoci delle mani
chiamarono:”Don Lollò, don lollò”..Quando don Lollò venne su e vide lo scempio parve
volesse impazzire…”La giara nuova! Quattr’onze di giara! Non ingignata ancora! “
Voleva sapere chi gliel’avesse rotta , possibile che si fosse rotta da sé? Non gli si vedeva
segno di violenza! Che fosse arrivata rotta dalla fabbrica? Ma Che! Suonava come una
campana!..Appena i contadini videro che la prima furia gli era caduta, cominciarono ad
esortarlo a calmarsi. La giara si poteva aggiustare…C’era giusto Zi’ Dima Licasi che
aveva scoperto un mastice miracoloso , di cui serbava gelosamente il segreto, un mastice
che neanche il martello ci poteva, quando aveva fatto presa…Il giorno appresso si
presentò, all’alba, puntuale, Zì Dima Licasi con la cesta degli attrezzi dietro le spalle…
..”Fatemi vedere codesto mastice” gli disse don Lollò…”all’opera si vede”, rispose,
negando col capo Zì Dima. …”Col mastice solo però non mi fido. Ci vogliono anche i
punti” mise per patto don Lollò. “Me ne vado”rispose Zì Dima… Don Lollò lo acchiappò
per un braccio. “Dove? Messere e porco, così trattate ? ma guarda un po’ che arie da
Carlo Magno. Scannato miserabile e pezzo d’asino! Ci devo metter olio, io, là dentro, e
l’olio trasuda. Un miglio di spaccatura, col mastice solo? Mastice e punti. Comando io..”
Zì Dima si mise all’opera gonfio d’ira e di dispetto. E l’ira ed il dispetto gli crebbero ad
ogni foro che praticava col trapano, nella giara e nel lembo staccato per farvi passare il fil
di ferro della cucitura…Si mise a far passare ogni pezzetto di fil di ferro attraverso
accanto, l’uno di qua l’altro al di là della saldatura, e con le tenaglie ne attorceva i due
capi. Ci volle un’ora per passarli tutti “Ora aiutami ad uscire “- disse alla fine. Ma quanto
larga di pancia, tanto quella giara era stretta di collo. Zi' Dima, nella rabbia, non ci aveva
fatto caso. Ora, prova e riprova, non trovava più il modo di uscirne. E il contadino invece
di dargli ajuto, eccolo là, si torceva dalle risa. Imprigionato, imprigionato lì, nella giara da
lui stesso sanata e che ora - non c'era via di mezzo - per farlo uscire, doveva essere rotta
daccapo e per sempre. Sopravvenne Don Lollò. Zi' Dima, dento la giara, era come un
gatto inferocito.Fatemi uscire! - urlava -. Corpo di Dio, voglio uscire! Subito! Datemi
ajuto!Don Lollò rimase dapprima come stordito. Non sapeva crederci.- Ma come? là
dentro? s'è cucito là dentro?S'accostò alla giara e gridò al vecchio:- Ajuto? E che ajuto
posso darvi io? Vecchiaccio stolido, ma come? non dovevate prender prima le misure?
Su, provate: fuori un braccio... così! e la testa... su... no, piano! Che! giù... aspettate! così
no! giù, giù... Ma come avete fatto? E la giara, adesso? Calma! Calma! Calma! - Caso
nuovo, caro mio, che deve risolvere l'avvocato! Io non mi fido. La mula! La mula! Vado e
torno, abbiate pazienza! Nell'interesse vostro... Intanto, piano! calma! Io mi guardo i miei.
E prima di tutto, per salvare il mio diritto, faccio il mio dovere. Ecco: vi pago il lavoro, vi
pago la giornata. Cinque lire. Vi bastano?- Non voglio nulla! - gridò Zi' Dima. - Voglio
uscire.Le cavò dal taschino del panciotto e le buttò nella giara. Poi domandò, premuroso:-
Avete fatto colazione? Pane e companatico, subito! Non ne volete? Buttatelo ai cani! A
me basta che ve l'abbia dato… Per fortuna, non gli toccò di fare anticamera nello studio
dell'avvocato; ma gli toccò d'attendere un bel po', prima che questo finisse di ridere,
quando gli ebbe esposto il caso. Delle risa si stizzì.- Che c'è da ridere, scusi? A
vossignoria non brucia! La giara è mia!Ma quello seguitava a ridere e voleva che gli
rinarrasse il caso com'era stato, per farci su altre risate. "Dentro, eh? S'era cucito dentro?
E lui, don Lollò che pretendeva? Te... tene... tenerlo là dentro... ah ah ah... ohi ohi ohi...
tenerlo là dentro per non perderci la giara?"- Ma sapete come si chiama questo? - gli disse
infine l'avvocato. - Si chiama sequestro di persona!- Sequestro? E chi l'ha sequestrato? -
esclamò lo Zirafa. - Si è sequestrato lui da sé! Che colpa ne ho io?L'avvocato allora gli
spiegò che erano due casi. Da un canto, lui, Don Lollò, doveva subito liberare il
prigioniero per non rispondere di sequestro di persona; dall'altro il conciabrocche doveva
rispondere del danno che veniva a cagionare con la sua imperizia o con la sua
storditaggine.- Ah! - rifiatò lo Zirafa. Pagandomi la giara!- Piano! - osservò l'avvocato. -
Non come se fosse nuova, badiamo!- E perché?- Ma perché era rotta, oh bella!- Rotta?
Nossignore. Ora è sana. Meglio che sana, lo dice lui stesso! E se ora torno a romperla, non
potrò più farla risanare. Giara perduta, signor avvocato!L'avvocato gli assicurò che se ne
sarebbe tenuto conto, facendogliela pagare per quanto valeva nello stato in cui era adesso
.- Anzi - gli consigliò - fatela stimare avanti da lui stesso.Di ritorno, verso sera, trovò tutti
i contadini in festa attorno alla giara abitata.. Zi' Dima s'era calmato, non solo, ma aveva
preso gusto anche lui alla sua bizzarra avventura e ne rideva con la gajezza mala dei tristi.
Lo Zirafa scostò tutti e si sporse a guardare dentro la giara. - Ah! Ci stai bene?- Benone.
Al fresco - rispose quello. - Meglio che a casa mia. - Piacere. Intanto ti avverto che questa
giara mi costò quattr'onze nuova. Quanto credi che possa costare adesso?- Come me qua
dentro? - domandò Zi' Dima. I villani risero. - Silenzio! - gridò lo Zirafa. - Delle due
l'una: o il tuo mastice serve a qualche cosa, o non serve a nulla: se non serve a nulla tu sei un imbroglione; se serve a qualche cosa, la giara, così com'è, deve avere il suo prezzo.
Che prezzo? Stimala tu. Zi' Dima rimase un pezzo a riflettere, poi disse:- Rispondo. Se lei
me l'avesse fatta conciare col mastice solo, com'io volevo, io, prima di tutto, non mi
troverei qua dentro, e la giara avrebbe su per giù lo stesso prezzo di prima. Così conciata
con questi puntacci, che ho dovuto darle per forza di qua dentro, che prezzo potrà avere?
Un terzo di quanto valeva, sì e no. - Un terzo? - domandò lo Zirafa. - Un'onza e trentatré?-
Meno sì, più no.- Ebbene, - disse Don Lollò. - Passi la tua parola, e dammi un'onza e
trentatré.- Che? - fece Zi' Dima, come se non avesse inteso.- Rompo la giara per farti
uscire, - rispose Don Lollò - e tu, dice l'avvocato, me la paghi per quanto l'hai stimata:
un'onza e trentatré.- Io pagare? - sghignazzò Zi' Dima. - Vossignoria scherza! Qua dentro
ci faccio i vermi. E, tratta di tasca con qualche stento la pipetta intartarita, l'accese e si
mise a fumare, cacciando il fumo per il collo della giara.Don Lollò ci restò brutto.
Quest'altro caso, che Zi' Dima ora non volesse più uscire dalla giara, nè lui nè l'avvocato
l'avevano previsto. E come si risolveva adesso? Fu lì lì per ordinare di nuovo: "La mula",
ma pensò che era già sera.- Ah, sì - disse. - Tu vuoi domiciliare nella mia giara?
Testimonii tutti qua! Non vuole uscirne lui, per non pagarla; io sono pronto a romperla!
Intanto, poiché vuole stare lì, domani io lo cito per alloggio abusivo e perché mi
impedisce l'uso della giara. Zi' Dima cacciò prima fuori un'altra boccata di fumo, poi
rispose placido:- Nossignore. Non voglio impedirle niente, io. Sto forse qua per piacere?
Mi faccia uscire, e me ne vado volentieri. Pagare... neanche per ischerzo, vossignoria!Don
Lollò, in un impeto di rabbia, alzò un piede per avventare un calcio alla giara; ma si
trattenne; la abbrancò invece con ambo le mani e la scrollò tutta, fremendo.- Vede che
mastice? - gli disse Zi' Dima. Pezzo da galera! - ruggì allora lo Zirafa. - Chi l'ha fatto il
male, io o tu? E devo pagarlo io? Muori di fame là dentro! Vediamo chi la vince! E se ne
andò, non pensando alle cinque lire che gli aveva buttate la mattina dentro la giara. Con
esse, per cominciare, Zi' Dima pensò di far festa quella sera coi contadini che, avendo
fatto tardi per quello strano accidente, rimanevano a passare la notte in campagna,
all'aperto, su l'aja. Uno andò a far le spese in una taverna lì presso. A farlo apposta, c'era
una luna che pareva fosse raggiornato. A una cert'ora don Lollò, andato a dormire, fu
svegliato da un baccano d'inferno. S'affacciò a un balcone della cascina, e vide su l'aja,
sotto la luna, tanti diavoli; i contadini ubriachi che, presisi per mano, ballavano attorno
alla giara. Zi' Dima, là dentro, cantava a squarciagola. Questa volta non poté più reggere,
Don Lollò: si precipitò come un toro infuriato e, prima che quelli avessero tempo di
pararlo, con uno spintone mandò a rotolare la giara giù per la costa. Rotolando,
accompagnata dalle risa degli ubriachi, la giara andò a spaccarsi contro un olivo. E la
vinse Zi' Dima.

* Tratto da
Università degli Studi di Salerno
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E STATISTICHE

Adalgiso Amendola – Roberta Troisi
INTRODUZIONE ALL’ECONOMIA POLITICA DELL’ORGANIZZAZIONE:
NOZIONI ED APPLICAZIONI
WORKING PAPER 3.153
Novembre 2004

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