domenica 24 giugno 2007

Il sensemaking

Dal senso al significato Coord. Giuseppina Miccoli, del_senso.doc

Abbiamo già trattato Weick all’interno della “deriva” cognitivista, soprattutto per quanto concerne i concetti di enactment e loose coupling. Ci interessa sottolineare ora che molto spesso inserire un autore in un filone scientifico equivale ad ingabbiarlo all’interno di un sistema di riferimento, impedendo di comprendere o di sviscerare completamente il suo contributo. Ed è probabilmente quello che può accadere se si considera Weick semplicemente un esponente del cognitivismo e non si segue l’evoluzione del suo pensiero dall’interesse per la creazione di significato a livello individuale, a una fase in cui si parla “chiaramente e coerentemente in termini di interazioni tra individui piuttosto che di singoli attori” (Weick,1997). Secondo Weick l’organizzazione è fondamentalmente il risultato di “processi conversazionali e di apprendimento reciproco dei soggetti umani” (Weick,1997).
Il linguaggio non appartiene al soggetto isolato, non è una creazione specificatamente individuale, ma è una forma continuamente plasmata e arricchita dai processi relazionali, dalla condivisione dei mondi intrapsichici.
Per Weick le organizzazioni esistono nel momento in cui gruppi di donne e di uomini si incontrano, e sulla base di una conversazione riescono ad elaborare un loro linguaggio.
Le costruzioni linguistiche nelle organizzazioni sono alla base del concetto di ambiguità.
Il concetto di ambiguità è strettamente pragmatico dal punto di vista dell’evoluzione e dell’adattamento. Esso equivale alla mediazione che avviene quando due individui, sulla base del proprio punto di vista, delle proprie capacità, sviluppano delle visioni differenti rispetto ad una situazione, eppure possono accordarsi su un sentimento di consenso reciproco senza, per questo, cambiare troppo di loro stessi, mantenendo un elevato grado di diversità. Lo spazio di ricerca che connette il passaggio dall’individuale al collettivo con la nozione di ambiguità è quello dell’esplorazione del concetto di senso e significato. Il senso ha per sua stessa natura una dimensione ambigua, in quanto il senso nasce per far fronte al caso e all’indeterminazione, alla stessa maniera della nascita del legame sociale, mentre è una via essenziale della nostra progettazione della vita e del mondo.
Il senso ha una componente istintiva e interpersonale che parte dall’individuo nel momento in cui incontra l’altro. Il soggetto attiva movimenti intrapsichici per far fronte all’indeterminatezza di una situazione cercando un orientamento verso l’altro e le cose. Questo processo è alla base della costruzione del rapporto con se stessi che si origina attraverso il rapporto con l’altro: “L’essere in relazione precede il mio essere sociale” (Weick, 1997).
Il significato ci pone di fronte allo spazio riflessivo dell’intenzionalità, ai processi intrapersonali e quindi ai vissuti collettivi della visione scambiata, dichiarata e verificata: “ la superficie oggettiva delle soggettività” (Weick, 1997). Il senso emerge in quanto siamo noi a costruirlo sulla base di come percepiamo il mondo; il significato consiste nella costruzione della struttura di segni attraverso il processo di simbolizzazione.
Il sensemaking è quel processo di coevoluzione continua tra il senso (preriflessivo) e il significato (riflessivo). Letteralmente sensemaking significa costruzione del significato tramite gli agenti attivi, l’interazione fra gli individui. Questo processo colloca gli stimoli entro una “cornice di riferimento” che serve ad indicare un punto di vista comune che guida le interpretazioni. La costruzione di significato è un ciclo ricorrente che ha un inizio, nel momento in cui gli individui formano anticipazioni e presupposizioni, inconsce e consce, che servono come previsioni per gli eventi futuri, ma che non ha una fine. Gli eventi discrepanti, o sorprese, rispetto alle previsioni, innescano il bisogno di nuove spiegazioni, di una rilettura a posteriori, attivando un nuovo processo di sensemaking in grado di elaborare interpretazioni sulle discrepanze. Il sensemaking non si occupa semplicemente di costruire cornici nelle quali collocare gli stimoli, ma svolge anche altre attività tese all’esplorazione dell’ambiente, all’interpretazione e alle “risposte associate”. Altri autori (Thomas, Clark, Gioia, in Weick, 1997) infatti ci descrivono il sensemaking come un’interazione reciproca tra la ricerca di informazioni, l’attribuzione di significati e l’azione.
Ne risulta che il sensemaking si sviluppa sia sull’attività individuale che su quella sociale e che queste attività sono comunque imprescindibili.
Il sensemaking è un’attività che riguarda i modi in cui le persone generano quello che interpretano. La creazione e l’interpretazione sono intrecciate. Il concetto di sensemaking sottolinea l’azione, l’attività e l’ideazione che sottostanno alle tracce che vengono interpretate e poi reintepretate.
In questo senso il sensemaking è diverso dall’interpretazione. Il sensemaking riguarda un’attività o un processo, mentre l’interpretazione descrive soprattutto un effetto. L’interpretazione implica che qualcosa esista là, un testo nel mondo, che attende di essere scoperto o avvicinato. Il sensemaking riguarda più l’invenzione che la scoperta. Intraprendere un processo di sensemaking significa costruire, filtrare, incorniciare, e trasformare la soggettività in qualcosa di più tangibile.
“Il senso è comune, comunicante, comunicato, in comune per definizione. Supponendo che la mia esistenza abbia un senso, esso è ciò che la fa comunicare e ciò che la comunica a qualcos’altro che non sono io. Il senso costituisce il mio rapporto a me in quanto in rapporto ad altro. Un essere senza altro (o senza alterità) non avrebbe senso” (Nancy, in Weick, 1997).
5.1 Le sette proprietà del sensemaking
Il sensemaking è un processo:

1. fondato sulla costruzione dell’identità;
2. retrospettivo;
3. istitutivo (enactive) di ambienti sensati;
4. sociale;
5. continuo;
6. generato su (e da) informazioni selezionate;
7. guidato dalla plausibilità più che dall’accuratezza.

Queste sette caratteristiche servono da linee guida nell’indagine sul sensemaking, nel senso che suggeriscono che cosa è il sensemaking, come funziona e dove può fallire.
Il sensemaking come processo fondato sulla costruzione dell’identità. Il sensemaking inizia quando qualcuno dà senso. La frase “Come posso (Io) sapere che cosa (Io) penso finché (Io) non vedo cosa (Io) dico?” è incentrata su una persona che sta facendo sensemaking (sensemaker). In realtà il sensemaker non agisce mai da solo come creatore di senso. Quindi ogni creazione di senso, che avviene attraverso gli altri, è anche una creazione di sé, della propria identità.
Il sensemaking come processo retrospettivo. L’idea di un sensemaking retrospettivo deriva dall’analisi di Schutz (in Weick, 1997) del “vissuto significativo”. La parola chiave di questa espressione è il vissuto che rimanda al concetto di passato per cogliere il fatto che le persone possono sapere che cosa stanno facendo solo dopo averlo fatto. L’uomo ha infatti scoperto che il mondo da lui percepito è in realtà un mondo passato. “Qualsiasi oggetto esterno al corpo, per quanto vicino, è passato di almeno un infinitesimo di secondo nel momento in cui lo percepiamo” (Hartshorne in Weick,1997). Per accorgerci della realtà è necessario uscire dall’irrazionalità del nostro vissuto, estraniarsi, per poi ricomporlo, attraverso la riflessione, in maniera razionale.
“L’atto del rivolgimento infatti presuppone un vissuto divenuto, trascorso, già compiuto, in breve un vissuto passato” (Schutz, in Weick, 1997).
Weick paragona l’atto retrospettivo all’irradiazione di un cono di luce su una porzione di realtà, che si diffonde all’indietro, partendo dal presente e portando con sé sentimenti, progetti, che influenzeranno la qualità e la quantità del vissuto analizzato.
Tutto quello che è in atto ora, al momento del presente, determinerà il significato di tutto quello che è appena avvenuto.
Il sensemaking come processo istitutivo di ambienti sensati. In questa analisi Weick connette l’attività di sensemaking con il concetto di enactment, ovvero la produzione da parte degli individui dell’ambiente che si trovano ad affrontare.
Il mondo socialmente creato diventa un mondo che vincola azioni ed orientamenti. Non esistono né ambienti attivi di fronte a gente passiva, né ambienti passivi messi in movimento da gente attiva. Non esiste un ambiente staccato dall’individuo che genera stimoli, ma la gente riceve stimoli come risultato delle proprie attività. Gli individui istituiscono l’ambiente che istituisce la loro identità.
Il mondo socialmente creato diventa un mondo che vincola azioni e orientamenti. E’ il trascorrere del tempo che ci fa percepire il mondo come una realtà oggettiva definita dall’esterno nella quale i soggetti giocano ruoli preordinati. E’ questa istituzionalizzazione delle cose sociali come modi di fare le cose, e la trasmissione di tali prodotti, che collegano le idee sul sensemaking a quelle della teoria istituzionale. Il sensemaking è la materia prima dell’istituzionalizzazione.
Il sensemaking come processo sociale. “Il pensiero umano e il funzionamento sociale (..) sono aspetti essenziali l’uno dell’altro” (Resnick in Weick, 1997). La realtà sociale è un reticolo di significati condivisi intersoggettivamente che vengono mantenuti attraverso lo sviluppo e l’uso di un linguaggio comune che permette l’interazione sociale quotidiana. Il sensemaking oltre ad essere un processo cognitivo è soprattutto un processo sociale, dove le interazioni tra gli individui modellano costantemente le interpretazioni e l’interpretare. Un individuo crea pensieri originali ogni volta che interagisce con gli altri, e poi li comunica alla comunità più ampia. Se queste idee sono attuabili, vengono generalizzate dalla comunità ed entrano a far parte della cultura. Il sensemaking non è mai portato avanti da un individuo in solitudine poiché quello che si fa interiormente è comunque condizionato dalla presenza degli altri. Anche un monologo presume la presenza di un pubblico e cambia al cambiare del pubblico stesso.
Il sensemaking come processo continuo. Il sensemaking non ha mai un inizio. Il motivo è che la pura durata non si ferma mai. Le persone stanno sempre nel mezzo delle cose, che diventano cose solo quando quelle stesse persone esaminano il passato da un punto al di là di esso. I flussi discorsivi che si espandono nel tempo, competono per l’attenzione con altri progetti in corso e sono oggetto di riflessione solo dopo che sono finiti. L’interruzione di un flusso segnala che sono avvenuti dei cambiamenti nell’ambiente; essa genera una risposta emozionale ed è proprio l’emozione ad attivare un ulteriore flusso di sensemaking.
Il sensemaking come processo centrato su e da informazioni selezionate. Il sensemaking è un processo spontaneo che possiamo trovare dovunque. La difficoltà sta nell’osservare l’effettiva costruzione. Il sensemaking è un processo immediato per cui è più facile vederne i prodotti che il processo. Dovremmo prestare attenzione ai modi attraverso i quali le persone osservano, selezionano informazioni e abbelliscono ciò che hanno selezionato. Ciò che individuiamo, selezioniamo ed abbelliamo come contenuto del pensiero è solo una piccola porzione di realtà, che acquista valore in base al contesto e dalle disposizioni generali dell’individuo. Indipendentemente dalle informazioni rilevanti in un contesto, e indipendentemente dal modo in cui tali informazioni selezionate vengono arricchite, ciò che bisogna sempre tener presente è che la fiducia in queste informazioni ed il loro uso prolungato sono importanti per il sensemaking. Infatti queste informazioni collegano gli elementi dal punto di vista cognitivo e a questi presunti legami viene attribuita maggiore concretezza solo quando le persone agiscono come se fossero reali.
Il sensemaking come processo guidato dalla plausibilità più che dall’accuratezza. Il criterio dell’accuratezza è secondario in qualsiasi analisi del sensemaking per una quantità di ragioni. Innanzitutto le persone hanno bisogno di distorcere di filtrare la realtà, in base ai progetti del momento, se non vogliono essere sopraffatte dai dati. Inoltre abbiamo già visto che nei processi di sensemaking le informazioni selezionate vengono abbellite, vengono interpretate in modo da garantire un collegamento con la nostra visione del mondo. “Date informazioni molteplici, con significati molteplici per spettatori molteplici, la percezione accurata di un oggetto sembra un intenzione destinata al fallimento” (Weick, 1997). Nelle organizzazioni è preferibile essere più rapidi che accurati. La rapidità spesso riduce la necessità di accuratezza nel senso che risposte rapide riescono a far presa sugli eventi e a plasmarli prima che siano cristallizzati in un significato unico. Inoltre l’accuratezza ha maggior senso quando parliamo di percezione oggettuale, ovvero se consideriamo l’ambiente esterno come immutabile e costante, piuttosto che di percezione interpersonale, cioè relativa alle azioni che continuamente attivano un ambiente che contemporaneamente ci cambia. Weick sottolinea inoltre il fatto che è praticamente impossibile poter dire nel momento in cui percepiamo qualcosa se la percezione è accurata o no.
E se è secondaria l’accuratezza ciò che acquista importanza imprescindibile nel sensemaking è invece la plausibilità e la coerenza. Il sensemaking deve dare risposte ragionevoli, memorabili, deve incarnare l’esperienza passata e le aspettative, deve far risuonare insieme le persone, deve essere costruito retrospettivamente, ed essere usato in prospettiva, deve cogliere le sensazioni, deve permettere all’immaginazione di arricchire le bizzarrie del momento, deve essere qualcosa di divertente da costruire.
La formula “come posso sapere che cosa penso finché non vedo cosa dico?”
5.2 Il sensemaking nelle organizzazioni
Il sensemaking quotidiano ed il sensemaking organizzativo non sono identici.
Esistono delle continuità ma anche delle discontinuità. Weick afferma che il sensemaking nella vita organizzativa ha caratteristiche specifiche in quanto le organizzazioni sfidano tutto e chiedono spiegazioni per ogni cosa, inclusa la stessa razionalità. Nelle organizzazioni la socializzazione è più superficiale, più transitoria e più facilmente demolita dalla devianza.
E’ importante allora sviluppare fin dall’inizio un’idea di quali modi di concettualizzare le organizzazioni e i loro ambienti si adattino al sensemaking e ai loro prodotti.
Weick prende in considerazione l’analisi delle organizzazioni operata da Scott (in Weick, 1997), che segue un criterio basato sull’individuazione della minore o maggiore apertura all’ambiente e della connessione più stretta o più debole tra gli elementi che compongono il sistema.
Scott (in Weick,1997) definisce il concetto di organizzazione in tre modi:
1. l’organizzazione come concetto razionale, che viene definita come “le collettività orientate al perseguimento di scopi relativamente specifici e che esibiscono strutture sociali relativamente formalizzate” (Scott, in Weick, 1997);
2. l’organizzazione come sistema naturale, che viene definita come le collettività i cui partecipanti condividono un interesse comune alla sopravvivenza del sistema e che si impegnano in attività collettive, strutturate in maniera informale, per garantire questo fine.
3. l’organizzazione come sistema aperto, come coalizione di gruppo instabile, che sviluppa i suoi scopi attraverso la negoziazione ed è fortemente influenzata dall’ambiente esterno.
Secondo questa analisi le organizzazioni più interessate dai processi di sensemaking sono sicuramente quelle intese come sistemi aperti, che essendo influenzate in maniera maggiore dall’ambiente, devono far fronte all’elaborazione di un maggior numero di informazioni, molto diversificate, e, allo stesso tempo, darsi una spiegazione del perché, pur essendo poco coese, esiste qualcosa che tiene uniti gli individui che le compongono. In poche parole nei sistemi aperti l’attenzione si sposta dalla struttura ai processi.
Secondo Wiley (in Weick, 1997) esistono tre livelli di sensemaking al di sopra del livello di analisi individuale: l’intersoggettivo, durante il quale le intenzioni individuali sono sintetizzate in conversazioni nelle quali il “sé” diventa “noi”, il soggettivo generico, nel quale il sé non è proprio più presente ed è presente la struttura sociale, che rappresenta il livello nel quale Wiley pone le organizzazioni, e l’extra-soggettivo, che è un livello di realtà simbolico, come quello che si potrebbe associare alla matematica o ad un sistema economico visti come complessi culturali senza soggetto; qualcosa che può essere assimilato ad un dominio istituzionale, esterno, astratto che si situa al di fuori delle azioni individuali, ma che comunque mantiene un valore coercitivo su di essa. Secondo Weick l’organizzare si trova al vertice del movimento tra l’intersoggettivo ed il soggettivo generico. L’organizzazione è un mix di modi di vedere unici, vividi e intersoggettivi, e di modi di vedere che possono essere colti, perpetuati ed ampliati da persone che non partecipano alla costruzione intersoggettiva originale. Le persone possono sostituirsi a vicenda nelle organizzazioni, ma, quando lo fanno, le sostituzioni non sono mai totali. C’è sempre una perdita di comprensione comune.
Le organizzazioni sono sistemi di tensioni che hanno la funzione di gestire due grandi discontinuità dal punto di vista sociale: quando una condotta sociale immaginata è convertita in interazione sociale faccia a faccia in tempo reale e quando uno dei partecipanti all’interazione viene sostituito e l’interazione continua in qualche modo come in precedenza.
“Le organizzazioni, come forme intersoggettive, creano, preservano e implementano le innovazioni che nascono dal contatto ravvicinato. Come forme di soggettività generica, focalizzano e controllano le energie di quella vicinanza (...). Quindi le forme organizzative sono le operazioni di collegamento che connettono l’intersoggettivo e il soggettivo generico” (Weick, 1997). Le organizzazioni sono entità che si sviluppano e che sono portate avanti attraverso il continuo scambio di comunicazioni e di interpretazioni tra i partecipanti. La comunicazione è ciò che permette lo sviluppo di una visione condivisa, di temi di interesse comune, che alimentano un senso del “noi” collettivo. Brevemente, sono i processi comunicativi inerenti l’organizzare a creare una cultura organizzativa, che si rivela attraverso la comunicazione di vincoli legati al ruolo, agli scopi e al contesto. Quando vediamo le organizzazioni come entità che si spostano continuamente tra l’intersoggettività e la soggettività generica è possibile costruire un nucleo comune che ci permette di rappresentare lo scenario in cui ha luogo il sensemaking.
Weick individua sei caratteristiche dell’organizzare che possono costituire il punto di partenza per poter parlare di sensemaking organizzativo:
1. Un aspetto fondamentale dell’organizzare è la domanda: come si ottiene il coordinamento delle azioni nel mondo delle realtà multiple?
2. Una risposta a questa domanda si trova in una forma sociale che genera modi di vedere vividi, unici, intersoggettivi, che possono essere afferrati e amplificati da persone che non avevano partecipato alla costruzione originale.
3. C’è sempre una qualche perdita di comprensione quando l’intersoggettivo viene tradotto nel generico. La funzione delle forme organizzative è di gestire questa perdita mantenendola ridotta e permettendole di essere rinegoziata.
4. Far fronte ad una transizione significa far fronte alla tensione che spesso si produce quando le persone cercano di riconciliare l’innovazione intrinseca all’intersoggettività con il controllo intrinseco alla soggettività generica. Le forme organizzative rappresentano operazioni di collegamento che tentano questa riconciliazione su base continua.
5. La riconciliazione è ottenuta tramite cose come le routine interconnesse e i modelli abituali d’azione, entrambe le quali hanno la loro origine nell’interazione diadica.
6. E infine, le forme sociali dell’organizzazione consistono fondamentalmente in attività strutturate che si sviluppano e sono mantenute attraverso la continua attività comunicativa, nella quale i partecipanti elaborano visioni equivalenti di temi d’interesse comune.
Le organizzazioni e i processi di sensemaking sono fatti della stessa stoffa. Organizzare significa imporre ordine, neutralizzare le deviazioni, semplificare e connettere, e lo stesso vale quando le persone cercano di dare senso.
“Se in tempi di incertezza, ambiguità e sorprese raramente ciò che ha senso è anche sensato, allora tutte le pratiche e le massime che cominciano a correggere questo squilibrio dovrebbero essere benvenute ed avere un impatto positivo” (Weick,1997).

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